Cosa è per noi la Speranza
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12 Febbraio 2011Viaggio in Brasile dalle Volontarie della Carità 2011
Bruno Perissinotto, amico del Piccolo Rifugio, è da poco rientrato dal viaggio in Brasile a visitare le opere delle Volontarie. Con lui, assieme ad altri, anche le Volontarie Silvia e Teresa, che torneranno in Italia nelle prossime settimane. Qui di seguito il racconto del viaggio. A cui Bruno vuole premettere il suo “grazie” alle Volontarie della Carità, ed in particolare a quante vivono presso la casa di Massaranduba, cioè Mariarosa, Estela, Izaltina, Luisa e Annina.
Come era avvenuto nel 1995, un gruppo di Volontarie della Carità, associati all’Istituto ed altri amici del Piccolo Rifugio hanno effettuato un viaggio in Brasile per portare aiuto e solidarietà alle nostre opere in quel grande paese. Ogni anno c’è una visita di italiani in Brasile, o più di una: ma quella del 1995 è un riferimento per questa del 2011, per analogia di scopi, partecipanti, durata. Abbiamo cercato di confrontare le nostre esperienze di allora, trovare i miglioramenti intervenuti, riflettere insieme sulla situazione attuale.
Riportiamo una parte dell’introduzione agli articoli che allora pubblicammo sull’Amore Vince, e che ora possiamo tranquillamente ripetere: “Il viaggio è stata l’occasione per riflettere sulla situazione ecclesiale, sociale, politica a contatto con la realtà di disagio ed emarginazione che vi si riscontra. Si espongono alcune note di quel viaggio e qualche conclusione sulla situazione e sulle prospettive di quella popolazione povera e sfortunata, ma piena di dignità e di speranza cristiana”. Precisiamo che le nostre opere si trovano nella parte nord e nordest del Brasile, che è di gran lunga la più povera e arretrata economicamente.
LE SPERANZE DI SALVADOR
L’11 gennaio arriviamo dall’Italia a Salvador, capitale dello stato di Bahia (il Brasile è uno Stato federale, con notevole autonomia dei singoli Stati; ciò è dovuto sia alla sua storia che alla sua estensione). Per due secoli capitale del Brasile, Salvador conserva notevoli ricordi della sua grandezza passata: le chiese e i palazzi del Pelourinho (centro storico) costituiscono il maggior complesso architettonico coloniale dell’America del Sud. La città sta aumentando di popolazione e di estensione: i nuovi arrivi sono per lo più povera gente, proveniente dalle campagne che si vanno spopolando; si insediano nell’immensa periferia. Prevale sempre la cultura e la razza ex africana, vivace e giovane. In conclusione, scrivevamo in occasione della precedente visita a Salvador, se da un lato “le sontuose chiese barocche dei portoghesi, le grandi costruzioni dell’epoca coloniale, gli altri segni della cultura europea, danno un senso di malinconia nella sensazione di una loro decadenza, la consapevolezza di questa nuova cultura giovane e vivace spinge ad una integrazione che salvi i valori ancora attuali della cultura precedente accanto a quelli nuovi: questa è la vera speranza per l’avvenire di Salvador.”
Nella piccola residenza delle nostre Volontarie a Massaranduba vivono attualmente in cinque: due brasiliane (Estela e Izaltina) e tre italiane (Maria Rosa, Annina e Luisa). Hanno compiti di accoglienza per quanti vengono in Brasile e sono il punto di riferimento per tutte le nostre attività laggiù.
La loro casa è assimilabile ad un piccolo centro di spiritualità e di assistenza ai poveri. Oltre che visitare le abitazioni per portare solidarietà, conoscere le necessità e dare qualche risposta (cibo e medicinali), le Volontarie, come scrivevamo già nel 1995, “cercano di contribuire alla crescita umana e spirituale delle persone che incontrano. Per esempio insegnano qualche rudimento di igiene, organizzano le lavoratrici per una loro difesa sindacale, per quanto embrionale, istruiscono le ragazze nei lavori domestici o nel ricamo, e così via”.
Come collaboravano con padre Leal (il parroco bahiano che abbiamo conosciuto ed ammirato nel viaggio precedente), ora aiutano il giovane parroco toscano che lo ha sostituito nella parrocchia di Massaranduba, padre Luca Niccheri, ed il suo collaboratore padre Paolo. Infine è molto importante il sostegno che le Volontarie danno ad altri gruppi o iniziative (una, in particolare: “Frutos de mães”, un asilo per minori soli e bisognosi di tutto).
Nella prima settimana a Salvador ci dedichiamo alla visita dei luoghi e delle opere delle nostre Volontarie e associati. Rispetto alla situazione che ricordavamo, constatiamo con favore notevoli miglioramenti. Anzitutto per la situazione degli Alagados. Avevamo scritto, la volta precedente, che “difficilmente si può pensare a condizioni igieniche peggiori” di quelle in cui erano allora. “Le baracche sospese sui pali piantati in acqua, con le fognature della città che scorrono sotto di loro”, che vedemmo nel 1995, sono scomparse e sono state sostituite da casette molto modeste, ma dignitose. Ci sono ancora tanti problemi, ma il miglioramento è evidente. Anche la chiesa di Massaranduba (il quartiere, a confine con la zona degli Alagados, nel quale abitano le nostre Volontarie), allora in costruzione e sostituita temporaneamente da una baracca posta a ridosso di una fognatura a cielo aperto, ora è stata completata e dà un senso di ordine e pulizia, rispetto alla povertà e al degrado delle abitazioni del quartiere.
Un’altra positiva impressione la ricaviamo dalle visite alla casa di riposo Abrigo São Gabriel para idosos de Deus. L’Istituto Volontarie della Carità ha molto contribuito alla sua nascita e al suo irrobustirsi: ora è una realtà che dà alloggio e sostentamento, anche sanitario, ad una settantina di anziani. Il Volontario Gabriel ne è il direttore, factotum instancabile, aiutato da amici e sostenitori. Ci ripromettiamo di aiutarlo ancora e di sostenerlo anche facendo conoscere la sua opera.
Infine visitiamo le attività legate alla nostra Volontaria Maria Jafullo: anche qui (sia nella sua casa-famiglia che nell’orfanotrofio dove opera la nostra Volontaria brasiliana Francisca) riceviamo una piacevole sensazione di serenità e di ordinata organizzazione, pur nella carenza di mezzi. Tra l’altro i bambini improvvisano per noi un concertino che ci commuove.
A Salvador facciamo visita ai vivacissimi mercati e alle zone turistiche: non vi dedichiamo però troppo tempo, visti i nostri scopi ben diversi da quelli di svago. Troviamo interessante invece la chiesa – mausoleo di Irma Dulce (la suora ben nota alle nostre Volontarie, di cui è in atto la causa di beatificazione. Qui la accostano a Madre Teresa di Calcutta). Partecipiamo anche, da spettatori un po’ frastornati, alla festa di Bonfin (che muove circa un milione di persone che vanno in pellegrinaggio, fra musiche e canti, alla chiesa santuario dove si mescolano tradizioni africane e portoghesi).
Un’altra visita importante è quella alla parrocchia di padre Clovis. Anche di lui avevamo parlato con ammirazione nel resoconto precedente: “Padre Clovis ha una passione sociale così intensa da rendere talvolta difficile la conciliazione di essa con le esigenze del culto. Tra l’altro è stato lui a guidare e ad organizzare la protesta degli Alagados quando la polizia locale voleva smantellare tutte le baracche senza che si fosse minimamente provveduto ad una residenza alternativa. Padre Clovis fu imprigionato, ne nacque un caso ed intervenne la Chiesa ufficiale che costrinse le autorità locali a desistere da questa iniziativa”. Lo troviamo con lo stesso spirito e la stessa fervida immaginazione. Interessante la sua interpretazione del presepio, (che occupa praticamente tutta la chiesa), con riferimenti biblici e all’attualità. Piacevole l’esibizione di un gruppo di giovani che si esibiscono nella capoeira.
AD ITAPARICA, PER LO SPIRITO
La seconda tappa del nostro viaggio è invece caratterizzata da silenzio e preghiera. Ci spostiamo per qualche giorno nell’isola di Itaparica (nella enorme baia di Salvador, denominata “de todos os santos”), per gli esercizi spirituali ai quali partecipano tutte le Volontarie e gli associati brasiliani. Le lodi mattutine, i Vesperi serali, la Messa giornaliera, le riflessioni del direttore spirituale sono tipiche di ogni ritiro. Per noi c’è in particolare l’attenzione ed il tempo per l’adorazione eucaristica, legata al nostro carisma. E’ un periodo anche di riposo e meditazioni, dopo le emozioni dei giorni di Salvador.
IN AMAZZONIA, LA FEDE E LA NATURA
La terza tappa del nostro viaggio in Brasile ci porta a Manaus, capitale dello Stato di Amazzonia (il più esteso del Brasile, ma con poca popolazione, essendo quasi tutto coperto da foreste). La città è in crescita ancora più rapida che Salvador, e concentra ormai quasi la metà della popolazione e la gran parte delle attività commerciali e produttive dell’intero Stato.
Siamo ospiti del Seminario Vescovile, ora quasi vuoto per le vacanze estive, ma che in corso d’anno conta una sessantina di frequentanti. Ci riceve il nostro amico don Olindo Furlanetto, sacerdote trevigiano, rettore del Seminario, uomo di preghiera e di azione, centro animatore di tutte le attività che qui si svolgono. Riesce a renderci il soggiorno piacevole (nonostante il caldo e l’umidità: siamo a pochi gradi dall’equatore) ed in più arricchente sia sotto il profilo spirituale che culturale.
La situazione locale presenta, anche accentuati, i problemi di tutto il Nord del Brasile: in particolare notiamo segni di una grandezza passata nel centro, (splendido il teatro, costruito in Europa con la collaborazione di vari Stati, e poi trasportato pezzo per pezzo via nave), sviluppo moderno in alcune aree, povertà e degrado ambientale nell’immensa periferia.
Molti i motivi per sperare in un futuro migliore: ci sono grandi cantieri per opere pubbliche o private, la popolazione è vivace, grande prevalenza di giovani. Ma anche preoccupazione soprattutto per la violenza e per la speculazione edilizia.
Il timore più attuale in Amazzonia è il disboscamento graduale che si va operando, anche se essa costituisce ancora il polmone verde dell’intero pianeta. Il processo è in atto anche a Manaus, che va allargandosi inglobando le foreste circostanti. Tra l’altro, spesso con costruzione di grattacieli che contrastano con l’aspetto precedente di “città orizzontale”.
L’opera infaticabile di don Olindo tiene presenti questi pericoli: la formazione di nuovi sacerdoti è una garanzia per il futuro spirituale, ma non manca la difesa della situazione ecologica ambientale. Ci narra con comprensibile orgoglio la sua resistenza agli speculatori che volevano acquistare l’ampia area boschiva in cui si trova il Seminario, battaglia alla fine vittoriosa anche per l’appoggio del vescovo locale. Preziosa infine l’opera di sostegno alle tante comunità cristiane, in cui il magnifico impegno anche di laici riesce a tener vivi i valori religiosi e civili del popolo. La visita ad esse, in momenti di culto o di incontri – dibattito, ci fa vivere momenti quasi di entusiasmo.
Abbiamo anche dedicato una giornata al turismo, con l’immancabile escursione all’area dove due grandi fiumi (il Rio Negro ed il Rio Solimões) formano il Rio delle Amazzoni confondendo pian piano le proprie acque, prima diverse per colore, densità, temperatura. Metafora, ci dice don Olindo, dell’integrazione graduale e necessaria anche per le razze e culture diverse che si arricchiscono con l’incontro pacifico e la convivenza.
Bruno Perissinotto
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In un precedente articolo abbiamo riferito sul viaggio in Brasile di un gruppo di associati all’Istituto secolare Volontarie della Carità e amici dei Piccoli Rifugi, in visita alle opere delle Volontarie o ad altre strutture ecclesiali, per portare sostegno e solidarietà, e per renderci meglio conto dei loro problemi materiali e spirituali.
Ne abbiamo ricevuti tanti, di motivi di conforto e di speranza, ma abbiamo anche individuato qualche difficoltà , per problemi tuttora aperti. Ne abbiamo discusso insieme tra noi e con coloro che sono in quella realtà. Cerchiamo di esprimere qualche modesta riflessione conclusiva.
Cresce l’economia, cala la fame
Gli ambiti su cui ci siamo soffermati sono due: quello economico – sociale e quello religioso – spirituale.
Sul primo, come già detto nel precedente articolo, le constatazioni sono senza dubbio positive. Il presidente Lula aveva promesso un generale miglioramento della situazione di tutti i poveri: si tratta del programma “fame zero”, riassunto nel motto “tre pasti al giorno per tutti”, oltre alla riforma delle pensioni. Ci pare abbia mantenuto le promesse: ora un minimo vitale è assicurato a tutti, e abbiamo constatato una situazione più serena. Per quanto riguarda l’economia in generale, il ritmo di crescita è impressionante, anche se concentrato soprattutto nel sud del Brasile. Ma anche nelle zone del nord, dove siamo stati noi, qualche opera pubblica e qualche riforma di struttura sono evidenti segni di un cambiamento positivo. Come esempio eclatante già abbiamo segnalato nel precedente articolo la sparizione delle baracche degli Alagados, la cui situazione ci aveva così scosso emotivamente in precedenza.
La religiosità popolare brasiliana e noi
Ma la nostra attenzione era concentrata sull’altro piano, quello religioso – spirituale. A prima vista, la religiosità del popolo brasiliano appare profonda e generale. Impressiona la folla che partecipa numerosa a tutte le cerimonie di culto, il coinvolgimento emotivo di tutti, l’attenzione con cui si segue il celebrante, il canto e l’accompagnamento comune anche con il corpo, (specie con le braccia spesso alzate verso il cielo). C’è quasi un entusiasmo contagioso, anche per gente più fredda come noi, difficile da smuovere sentimentalmente, che aderisce più con la ragione che col cuore.
Altro elemento che impressiona da questo punto di vista è la continua presenza di scritte di natura religiosa: sui cartelli stradali, sui muri, perfino sulle autovetture si producono citazioni bibliche (spesso S. Paolo), frasi edificanti, propositi e inviti ad una vita impregnata di spiritualità.
Questa religiosità popolare, semplice e spontanea, diffusa e senza timore di manifestarsi, se da un lato è fonte di ammirazione, fa sorgere tuttavia qualche perplessità . Forse noi occidentali siamo condizionati dalla necessità di comprendere tutto, non ci rassegniamo ai limiti della nostra ragione, non accettiamo più il mistero.
Ma, pur essendo persone la cui scelta religiosa è fuori discussione, non riusciamo ad accettare questo inserimento del divino in ogni ambito della vita, questo far ricorso a Dio anche in ambiti prettamente umani. Sembra quasi uno scarico di responsabilità , un rifiutare la autonomia delle attività terrestri. Ha scritto (dal campo di concentramento nazista, dove sarà poi ucciso!) il grande teologo Dietrich Bonhoeffer: “non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze”.
Ma forse siamo noi che sbagliamo, noi che abbiamo perso l’umiltà . La nostra ricerca vuole arrivare troppo lontano, non ci sappiamo fermare. D’altronde non si può nascondere la perplessità che ci assale, i dubbi che sorgono: per noi occidentali, ormai, la fede è legata più alla ragione che al sentimento; l’illuminismo ha lasciato tracce difficili da superare, non ci lasciamo facilmente riscaldare l’animo. Vogliamo capire, anche dove la ragione dovrebbe lasciare spazio “alle ragioni del cuore” (vedi Blaise Pascal: “il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non capisce”).
La fede e la ragione, da Benedetto XVI ad Erasmo da Rotterdam
Il Papa attuale ci richiama continuamente alla fede in un Dio – Logos, cioè in un Dio che non è in contraddizione con la nostra ragione: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” ha detto nel suo famoso discorso di Ratisbona (12 settembre 2006). “Dio si è mostrato come Logos e come Logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo l’amore sorpassa la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero, tuttavia esso rimane l’amore del Dio – Logos, per cui il culto cristiano è un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione” (logikè latréia). Certo, occorre che “ragione e fede si ritrovino unite in modo nuovo”; superando la “limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento…”
Si tratta di una posizione equilibrata. Dio è Logos e nello stesso tempo Amore (Vangelo e lettere di Giovanni). Lo dobbiamo cercare con la ragione, ma anche col cuore. La ragione quindi è necessaria, ma deve accettare i propri limiti e trovare un incontro nuovo con la fede.
Vengono in mente le parole di un altro grande teologo, Erasmo da Rotterdam, che, pur insistendo sulla necessità di una fede approfondita e di una adeguata conoscenza della Parola, reagiva alle “sottigliezze sofistiche” del suo tempo, ad una fede che sembrava dover dipendere “dal sostegno della filosofia”. Per esempio, diceva, non occorre saper spiegare la differenza fra la “generazione” del Figlio dal Padre ed invece la “processione” dello Spirito Santo. Essenziale, invece, “coltivare i frutti dello Spirito, che sono amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, tolleranza, misericordia…” . “La sostanza della nostra religione è pace e umanità”.
Il Brasile ci ha dato gioia: grazie a tutti!
L’aver espresso alcune perplessità (ma non vogliamo che appaiano come critiche) non può annullare l’impressione gioiosa che ci ha procurato questa nostra visita. Abbiamo conversato con sacerdoti, religiosi, laici pienamente immersi nel loro compito, dediti alla loro missione con spirito di sacrificio, competenza, adesione totale. Abbiamo partecipato a cerimonie religiose vissute con entusiasmo, convinzione, fede. Abbiamo constatato i frutti della solidarietà intelligente oltre che generosa. Abbiamo ricevuto motivi di speranza umana e cristiana. Siamo stati indotti a riflettere sulla nostra religiosità, forse troppo fredda e intellettualistica.
Ringraziamo riconoscenti quanti ci hanno accolto, accompagnato nella nostra esperienza, aiutato nella nostra ricerca. Non dimenticheremo certo le loro dimostrazioni di sincera amicizia.
Bruno Perissinotto
Gli italiani all’Abrigo S. Gabriel