Antonio Bincoletto sostituisce Francesco Facci
2 Marzo 2013Al Piccolo Rifugio ho imparato ad ascoltare, ad amare, ad essere libera
2 Marzo 2013Pierina Bassoli, la storia della mia vita come Volontaria della Carità
Proseguiamo la rubrica “Tracce di un cammino”, in cui attraverso le testimonianze di vita delle Volontarie guardiamo all’esempio di Lucia e alla storia vissuta fino ad ora, per trarne le direzioni per il futuro. Dopo Elena Suardi, Teresa Fresu e Felicita Casti, è il turno di Pierina Bassoli, 88 anni, che oggi vive al Piccolo Rifugio di San Donà.
“Anzitutto ci tengo a dire che la mia è stata una storia d’amore”.
Così Pierina Bassoli inizia a raccontare la sua vita di Volontaria della Carità e la sua esperienza con Lucia Schiavinato. E la passione con cui prosegue a parlare è quella di un cuore ancora innamorato.
Quella domanda di Dirce
“La prima volta che incontrai Lucia fu agli esercizi spirituali dell’Azione Cattolica. Mi era sembrata una donna severa, ma piena del Signore.
Poi più avanti quando avevo 26 anni e, oltre a lavorare (nel commercio di dolcetti e caramelle) con i miei genitori, ero delegata delle aspiranti di Ac (animatrice delle ragazze, diremmo oggi) nella mia parrocchia di Noventa, una domenica ad un nostro incontro venne una delle prime collaboratrici di Lucia, Dirce Nardini.
Al termine accompagnai fuori Dirce e lei all’improvviso mi disse: ma tu non potresti lasciare i ciuccetti (le caramelle) e venire con noi? Quella domanda non mi lasciò in pace. Bisogna che mi consiglio con qualcuno, pensai. Eravamo in dieci ragazze: perché Dirce ha fatto la proposta proprio a me? Certo, stavo cercando una strada per il futuro, ma ero anche molto attaccata alla mia famiglia, al buon lavoro che avevo, ero la sorella più grande rimasta in casa…
Ne parlai con il mio direttore spirituale che mi disse: sì, la sua è vocazione. Ma all’epoca gli istituti secolari erano poco conosciuti e quasi considerati di seconda classe. Lui mi vedeva come suora. Allora provai a mettermi in contatto con la madre generale delle suore della Divina Volontà che erano presenti anche a Noventa. Ma siccome ero pallida, mingherlina, e bisognosa ogni anno di un periodo in montagna, le suore mi dissero di aspettare. Passò un anno e mezzo. A quel punto dissi al mio direttore spirituale: non voglio continuare ad aspettare, sento che devo andare al Piccolo Rifugio per farmi Volontaria della Carità. E così lasciai casa mia: a settembre 2013 saranno 60 anni da allora”.
88 anni
Mi chiese del mio amore per l’Eucaristia
“Mio fratello e mia sorella erano d’accordo con la mia scelta. Mia mamma no: si era informata presso un’amica di Lucia Schiavinato e aveva sentito che la fama del Piccolo Rifugio era che si lavorava molto e si mangiava poco. Ma mamma, tranquilla, io sono contenta così, la rassicurai. Così andai a parlare con Lucia: mi pare ancora di vederla, con l’aria umile e vestiti poveri. Subito mi chiese del mio amore per l’Eucaristia, e le raccontai che quando da Noventa venivo a San Donà per lavorare mi fermavo sempre a pregare il Santissimo nella cappella del Piccolo Rifugio, e ammiravo molto le Volontarie.
Dopo una breve esperienza alla Colonia Santa Caterina di Jesolo, per un soggiorno al mare con gli ospiti del Rifugio, e dopo qualche tempo, Lucia organizzò per me e per altre giovani un periodo di preparazione spirituale e tecnica. Per un anno e mezzo rimanemmo a Possagno, in una ex casa-esercizi, fredda e umida, sul colle di San Rocco. Quando Lucia ci veniva a parlare, quasi ci metteva in crisi: era così infiammata di amore di Dio che io mi sentii ancora più piccola di quel che ero. Ma c’erano anche momenti più leggeri, come quando Lucia veniva a giocare con noi ai quattro cantoni. O come quando noi giovani la invitavamo a vestirsi un po’ meglio, non sempre di nero. Luigina (Tonon) le faceva delle camicette…
L’8 dicembre 1954 arrivarono a Possagno anche delle Volontarie, assieme al parroco del Duomo di San Donà mons.Luigi Saretta delegato dal vescovo. E facemmo la nostra consacrazione. Al termine, Lucia ci abbracciò, una per una. Era dolce ed accogliente, e mi sentivo in confidenza con lei. Che differenza da come l’avevo conosciuta da ragazzina!”
A Roma e a Ferentino
“Partimmo con Lucia per andare ad aprire il Piccolo Rifugio a Roma. In città lei aveva già molti contatti, e le avevano segnalato quella villa di proprietà del Comune, inutilizzata, che poi divenne il Piccolo Rifugio… Quando arrivammo non c’era nulla: mangiavamo alla mensa degli operai per risparmiare, se prendevamo il gelato mettevamo da parte per conservarlo il bicchiere di plastica in cui stava. Ma Lucia era sempre entusiasta, e noi con lei, e la fatica non esisteva. Ci ribadiva che i Rifugi erano voluti dal Signore, e il Signore avrebbe provveduto.
A Roma conoscemmo Luisa e Vittorio Marsecano, che poi decisero di offrirci la loro casa per realizzare a Ferentino un altro Piccolo Rifugio. Lucia accettò. Lei, Marilena (Vian) ed io andammo vedere la casa. Aprimmo il Piccolo Rifugio, e inizialmente accoglievamo ragazzi. Però i primi tempi erano difficili: eravamo da sole, sembrava che la Provvidenza non arrivasse, per pagare la spesa dovevamo aspettare che arrivassero gli aiuti da Roma. Pregate, pregate, insisteva Lucia. Si ipotizzò perfino di chiudere. In materia, Lucia decise di lasciare a me l’ultima parola, visto che ero la responsabile della casa. Io decisi di non chiudere e di attendere che la Provvidenza provvedesse. Lei mi abbracciò con slancio e mi ringraziò, perché ci teneva che il Rifugio rimanesse a Ferentino. Mi scrisse anche una lettera per ringraziarmi di quella scelta. E piano piano il Piccolo Rifugio ha cominciato ad essere conosciuto ed amato.
Lucia si teneva sempre in contatto con noi. Ci inviava le circolari e poi quando ci incontrava di persona ci spiegava come comportarci e ci aiutava. Noi andavamo a confidarci, a dirle come ci trovavamo. Una volta le raccontai delle difficoltà di convivenza con un’altra Volontaria e Lucia, contrariata, replicò: ‘Sciocchezze!’. Per me fu una lezione. Secondo lei questi problemi c’erano solo perché dovevamo fare dei passi avanti nel faticoso cammino del dono di sé. Insomma non eravamo sante abbastanza”.
Lucia ci voleva sante
“Lucia era sempre di corsa, aveva sempre contatti con un sacco di persone, in tanti venivano a consigliarsi con lei… Aveva studiato poco, ma da come scriveva e parlava sembrava proprio una persona colta: anche questo era un dono del Signore. Quando parlava lei, mi sentivo ancora più povera.
A noi Volontarie chiedeva grandi cose: ci voleva sante. Si raccomandava di non togliere neanche 10 minuti all’adorazione eucaristica. ‘Altrimenti – diceva – pensate a quanto tempo toglieresti in un anno!’ E così ogni giorno facevamo almeno un’ora di adorazione.
Negli anni Sessanta anche al Rifugio di Vittorio Veneto, dove nel frattempo io ero stata trasferita, arrivò la contestazione. I primi a protestare erano i ragazzi poliomelitici. Volevano partecipare di più, essere coinvolti nelle scelte, come si fa adesso. Da questo punto di vista la Volontaria Flavia, responsabile del Rifugio, era un po’ chiusa. Gli ospiti allora si confidavano con me, e io cercavo di fare da ponte. Lucia era più aperta, e comprendeva le richieste dei ragazzi- A Vittorio avevamo degli amici davvero fedeli, che venivano la sera o la mattina, ad esempio ad aiutarci a stendere la biancheria, o a spogliare e vestire gli ospiti. Eravamo la loro seconda famiglia”.
“Ero a Verona con altre Volontarie quando Lucia morì. Non ci fecero entrare nella sua stanza negli ultimi istanti, e per noi questo fu molto doloroso. Ma forse il dono totale di sé al Signore di Lucia doveva passare anche per questo”.