San Dona’ – Riabilitazione equestre per sei del Piccolo Rifugio con Settimo Cielo e Christine Freund
12 Ottobre 2015Pinetta Tamai, Volontaria della Carità
22 Ottobre 2015Marcella Boeretto, la sua vita in un libro
Il 1 ottobre compie 86 anni Marcella Boeretto, Volontaria della Carità. Originaria di Fossà, frazione di San Donà, oggi vive al Piccolo Rifugio di San Donà.
Per il suo compleanno il regalo più bello l’ha ricevuto qualche settimana fa: la prima copia di “Una storia, una vita”, il libro in cui ha raccolto molti preziosi ricordi della sua lunga vita. Lo ha scritto assieme all’amica, e amica del Piccolo Rifugio, Daniela Marin Dianese. Ha cominciato nel 2008, stimolata da alcune fotografie d’epoca capitate tra le mani, in occasione dei suoi 50 anni da Volontaria della Carità.
Nel libro racconta la povertà delle sue origini. “Sono nata in una baracca di legno nella tenuta dei miei parenti Brussolo (…) Era una giornata fredda e per scaldare la stanza, mi hanno raccontato, aprirono le porte della stalla lì vicina, perché il calore degli animali arrivasse fino a noi”. Nella pagine c’è spazio anche per la malattia con cui ha dovuto fare i conti. Ma pure per l’incontro che le ha cambiato la vita: quello con Lucia Schiavinato, che la ha portata alla sua consacrazione da Volontaria e alla vita al Piccolo Rifugio.
“Marcella in quest’ultimo periodo si è aggravata, parla poco, è dolorante ma quando le è stata consegnata la prima copia del libro ha sorriso di cuore”, racconta Susanna Paulon, coordinatrice del Piccolo Rifugio di San Donà.
Di copie ne sono state stampate molte: chi è interessato a ripercorrere assieme a noi la vita di Marcella può chiedere al Piccolo Rifugio di San Donà (tel 042152583, ufficiostampa@piccolorifugio.it)
“Una storia, una vita” è il libretto che raccoglie i ricordi di Marcella Boeretto, Volontaria della Carità al Piccolo Rifugio di San Donà, 86 anni. Lo ha scritto assieme all’amica Daniela Marin Dianese.
Proponiamo ai lettori alcuni estratti dalle 44 pagine del testo: piccole istantanee sulla vita di povertà nel Veneto contadino tra le due guerre mondiali, sulla disabilità, sui Piccoli Rifugi, gli amici e, naturalmente, Lucia.
Per avere una copia di “Una storia, una vita”, potete chiedere al Piccolo Rifugio di San Donà, oppure scriverci a ufficiostampa@piccolorifugio.it
Disabile a otto mesi
Sono nata il 1 ottobre 1929 a Fossà, in una baracca di legno nella tenuta dei miei parenti Brussolo Era una giornata fredda e per scaldare la stanza, mi hanno raccontato, aprirono le porte della stalla lì vicina, perché il calore degli animali arrivasse fino a noi. Dopo 20 giorni sono stata battezzata nella chiesa di Grassaga.
Per i primi otto mesi crebbi sana e bella finché, una tragica notte, la febbre a più di 41 gradi fece scoppiare il termometro e pose fine al mio benessere.
Dopo tre giorni la mamma si accorse che ai suoi tentativi di farmi stare ritta sui piedini, appoggiata sulla culla, la gambina destra non reggeva. Inoltre la manina destra era tutta girata all’indietro in una posa non naturale e non si muoveva. L’occhio destro rimaneva sempre chiuso.
Tutta la metà destra del corpo era stata colpita da quella che a quei tempi si chiamava paralisi infantile.
Due chilometri trascinandosi sul sedere
La vita trascorreva giorno dopo giorno più o meno serenamente. Io ed il mio fratellino eravamo piccoli, però qualcosa dovevamo aiutare a fare: dopo il gioco nella stalla andavamo a raccogliere le foglie di gelso con la mamma. In giugno c’erano i bachi da sfamare. Intorno ai quattro anni Gino andava nei campi a raccogliere il fieno ed io la raggiungevo riuscendo a fare anche due chilometri, trascinandomi sul sedere.
Poco prima dei miei 6 anni la nostra baracca venne demolita per necessità dai parenti. Mossi a compassione, i signori Menegaldo che abitavano lì vicino, ci offrirono di vivere nella loro stalla.
A metà 1935 i nostri parenti ricostruirono una baracca e ce la dettero.
Compii i sei anni a Fossà e la mamma all’inizio dell’anno scolastico cercò di iscrivermi alle elementari ma la maestra non mi volle perché disse che i bambini sarebbero stati distratti dalla mia presenza: quante lacrime ho pianto!
L’ingresso al Piccolo Rifugio di San Donà
Avevo 13 anni ormai e cominciavo a non essere più felice,volevo qualcosa di più dalla vita
Non avevo coraggio di parlare con la mamma per cui cominciai a scriverle delle letterine nelle quali le raccontavo le mie pene di adolescente. L’ho fatta tanto piangere, per questo, e quando lo raccontai alla catechista, lei mi accompagnò nella chiesetta del Piccolo Rifugio di San Donà. Qui, davanti all’Ostia benedetta esposta sull’altare per l’adorazione, incontrai per la prima volta Lucia Schiavinato. Non raccontai a nessuno di quella nostra visita al Piccolo Rifugio: era il segreto mio e della catechista.
…E finalmente il nonno mi sedette sul bastone della sua bicicletta e mi consegnò a Mamma Lucia. erano le 17 del 28 luglio 1942. Avevo con me un sacchetto di tela color spago, dentro vi era tutto il mio corredo personale.
La signorina Lucia mi fece preparare quasi subito una sedia a rotelle sui generis attaccando alle gambe di una seggiolina di vimini quattro ruote. Dentro casa mi ci appoggiavo e potevo andare, spingendola, dove volevo.
Quando arrivò al Piccolo Rifugio Lisa Davanzo cominciammo a frequentare le elementari normali: era una scuola privata riconosciuta e parificata. Abbiamo cominciato in trenta, maschi e femmine, tutti disabili, le nostre aule erano proprio nelle stanze del Piccolo Rifugio.
Lucia aveva assegnato a ognuno di noi che fosse in grado di farlo un bimbo disabile da accudire; io riuscivo a stare in piedi appoggiata al suo letto ed aiutavo a lavarlo,a cambiare il pannolino, che naturalmente a quei tempi era di tela, e ad imboccarlo”.
Bombe. E ladri
Un brutto giorno, il 10 ottobre 1944, alle dieci del mattino, suonò la sirena dell’allarme bombe.
Quel giorno, maledetto, persero la vita anche tre dei nostri bimbi: una si chiamava Giulietta, aveva tre anni e mezzo, era biondissima e bellissima, la bomba le squarciò la testa.
Nelle fasi concitate del dopo-scoppio, un vicino della baracca di mia zia mi vide, mi riconobbe,mi caricò sul bastone della sua bicicletta, così com’ero, in camicia, tutta insanguinata, e mi portò a casa sua.
(Due settimane dopo) vedemmo arrivare la signorina Lucia, trafelata. Ci aveva cercate tutte dopo il bombardamento ed ora aveva trovato anche me. Con il carro a cavalli portò tutte noi disabili a Campo di Pietra, nelle scuole elementari che, essendo deserte, erano diventate un ottimo asilo per gli sfollati.
Dopo il bombardamento, ritornati da Campo di Pietra il 25 aprile 1945,la casa (il Piccolo Rifugio) era ancora in precarie condizioni, era rimasta in piedi la facciata ed alcune delle camere, non c’erano più i balconi,le finestre, le porte. Dormivamo per terra su dei materassi di gommapiuma attente ai ladri che di notte riuscivano a rubarci le pietre.
Campocroce, Vittorio Veneto, Verona e poi di nuovo San Donà
Dopo cinque anni a Campocroce di Mogliano Veneto fummo trasferite a Vittorio Veneto, dove il 22 agosto del 1957 era stato inaugurato un Piccolo Rifugio. Qui, con il vescovo Carraro, avvenne la consacrazione a Volontarie della Carità di gruppo di 22 giovani, di cui 13 con vari problemi fisici, 9 normali.
Nel 1970 (trasferitami a Verona) conobbi per la prima volta Giovanna Nunchias ed Anna Doro, due Volontarie disabili con le quali iniziai un grande sodalizio.
Verona! Verona! Quanta animazione, quanti amici in quella città, in quel Rifugio. Molti erano dell’Unitalsi, ed ogni anno un nutrito gruppo di noi disabili veniva accompagnato in pellegrinaggio a Lourdes. Esperienze di Fede viva, vissute con semplicità, tanta carità, e dedizione da parte di tutti.
Parlando di pellegrinaggi ricordo anche quello a Mariapoli, a Spello, con don Romano Nardin e il Piccolo Rifugio di Vittorio Veneto.
Rimasi a Verona fino al 1977, allorquando don Bruno (Gumiero) e la (Volontaria) Dirce Nardini riuscirono a farmi tornare a San Donà come catechista parrocchiale ed animatrice del gruppo presente al Piccolo Rifugio e formato da parecchie giovani.
Un po’ alla volta, con l’aiuto del Signore, riuscii ad attrarre la simpatia di molti verso di noi e cominciò nella casa un via vai di persone che si misero a disposizione nelle varie attività ed intrecciarono rapporti amichevoli con le ragazze.
Quanti episodi legati a don Antonio Guidolin, che però non era ancora don, allora. Ricordo un’estate al mare, eravamo a Ca’Ballarin di Cavallino, e lui mi prendeva in braccio per portarmi in acqua, mi infilava il golf, mi portava a passeggiare per le vie del paesetto, addolcendomi, quando ero un po’ rustica, con qualche gelato gustosissimo .
Ricordo già di allora la generosità di Bruno Perissinotto (mi aiutò perfino per la dentiera) e di tanti altri amici.
Lucia
Il trinomio sul quale Lucia fondava tutta la sua opera comprendeva,oltre all’assistenza caritatevole, la valorizzazione della sofferenza e l’adorazione dell’Eucaristia: nella chiesetta che aveva fatto erigere al Rifugio passava tutte le notti in preghiera.
La domenica però Lucia diventava la nostra compagna di divertimenti e tutti, sani e disabili, eravamo coinvolti in giochi allegri e scherzosi: ci rincorrevamo attorno ai tavoli, saltavamo la corda, giocavamo a nasconderello, con i sassi, con le biglie, col fazzoletto, con la benda attorno agli occhi e poi i giochi di carte, la dama, la tombola, Quando ci faceva giocare e cantare, tutta a casa risuonava di allegre risate, erano banditi i musi duri e le lacrime!
Ebbi una grave crisi spirituale: mi ero persa, c’erano tante amarezze che mi soffocavano, tante delusioni da mandar giù,le cose non andavano per il verso giusto, o perlomeno per quel verso che io ritenevo giusto (…) Trovai il coraggio di parlarne con Mamma Lucia cercando di farle capire cosa mi era successo. Lei ci rimase male, vidi delle ombre sul suo volto. Ma la sua forza e la sua determinazione proruppero da lei con il solito vigore, e così mi disse: “Riprendi il cammino… e continua… facendo la volontà di Dio: fatti santa!”
Queste sono state le sue ultime parole rivoltemi:è stata per me una grossa e impegnativa eredità, e m sono sempre sentita protetta da lei come una figlia.