Lucia Schiavinato e la missione
13 Ottobre 2009Armando e Annamaria Natale nell’Istituto secolare Volontarie della Carità
13 Ottobre 2009Lucia Schiavinato e la scelta della missione in Brasile
“Vangelo senza confini”: è questo il tema scelto in Italia per celebrare l’83° Giornata Missionaria Mondiale. Vuole essere un forte richiamo alla necessità di essere ovunque missionari dell’Amore di Dio.
In queste parole mi è facile ritrovare la stessa ansia di mamma Lucia: abbracciare il mondo intero, raggiungere gli estremi confini della terra perché il regno di Dio sia annunziato e la testimonianza della tenerezza di Dio possa raggiungere ogni uomo, specie i più sofferenti ed emarginati.
Lucia era solita ripetere, con una certa insistenza, alle sue Volontarie l’urgenza di “far conoscere l’Amore che Cristo ha portato agli uomini”.
“Cristo Eucaristico vuole essere conosciuto e amato.. è impaziente di comunicarsi. Il mondo attende, nell’ansia di una grande vigilia, di ritrovare finalmente il suo Salvatore”. Ora più che mai “Il mondo è piccolo; non esistono distanze che in senso fisico, correte per il mondo con tutto il vostro zelo ad abbracciare tutti i fratelli”.
Quello della missione era stato un sogno della sua giovinezza. Lucia sarebbe voluta andare in Cina e consumarsi in un lebbrosario. Non sappiamo di fatto quali furono le difficoltà o i motivi per cui aveva messo da parte questo suo sogno. Sappiamo che nel 1939, dopo la morte del padre, ormai libera da ogni legame familiare, in una lettera al Direttore spirituale, scrive:
“ho bisogno di parlarLe:…la vocazione interiore dipenderà dalla decisione di rimanere ove sono o di andare a morire sconosciuta e sola tra i lebbrosi come ho sempre pensato? Non so. Nostro Signore certo farà luce.” ( 23.6.1939)
E il Signore farà luce attraverso il Direttore spirituale che sancisce quella che sembrava essere in quel momento la Volontà di Dio: restare tra “le sue creature inferme”. Lucia, obbedientissima, mette da parte anche l’occasione di sognare. Per non essere più tentata neppure dal minimo pensiero di andare in missione, brucia la grammatica inglese con tutti i quaderni di esercizi – per dimenticare anche quel poco che so.
Ma il Signore la conduceva per strade diverse da quelle intraviste dagli uomini.
Durante gli anni del Concilio Ecumenico Vaticano II, mons. Giuseppe Carraro, vescovo di Verona (dove s’era trasferita la sede centrale del Piccolo Rifugio e dell’Istituto secolare Volontarie della Carità), favorì l’incontro di Mamma Lucia con Dom Epaminondas, vescovo della diocesi di Ruy Barbosa (una diocesi dell’interno dello stato di Bahia, in Brasile). Così, il grande sogno, per tanti anni tenuto sepolto, comincia a divenire realtà.
” Carissime figliole,
…ecco, tra poco, il 31 marzo, finalmente, in nome di Dio, unicamente per rispondere alla Sua precisa volontà e solo per darGli gloria in mezzo ai fratelli, alcune volontarie partiranno accompagnate da me, per il Brasile…….Io ringrazio vivamente il Signore”.
Così scriveva mamma Lucia in una circolare alle Volontarie il 15 febbraio del 1964.
Da allora, comincia per Lucia un susseguirsi di viaggi Italia – Brasile con permanenze in Brasile più o meno lunghe, spinta dalla preoccupazione di portare un po’ di sollievo a quanti mostravano avere necessità più urgenti che non in Italia. Il campo si rivela ben presto immenso.
Nel 1969, scriveva alle Volontarie:
“Conoscendo l’immensità dei bisogni di questo immenso Brasile, vi assicuro che l’angoscia prende la gola, il cuore, la volontà; si vorrebbe far miracoli, per poter essere presenti fin dove si conoscono le urgenze”.
Ed ancora:
“Certe situazioni in Italia non esistono. Andare a cercarle dove esistono, e immergersi in queste piaghe dell’umanità; rassegnarsi anche a non poter far nulla, ma essere presenti e poter dire: non ho nulla da darti, ma quello che ho te lo do: la conoscenza di Cristo e del suo amore per te”.
E in questa immensità, Lucia intravede una grazia speciale e una benedizione particolare del Signore per la parte di Istituto che restava in Italia e per quella rete di Amici che andava allargandosi sempre più intorno ai Rifugi.
“….figliole mie, è meraviglioso che il Signore ci abbia condotto qui. Ringraziatelo sempre, per l’Istituto, per noi, per voi. Che Egli sia conosciuto ed amato da tutti”. (Itaberaba -Brasile 9.5.64).
Aprirsi alla missione significava allargare gli orizzonti, non ripiegarsi sui propri piccoli o grandi problemi, sperimentare la diversità come ricchezza, riscoprire i veri valori dell’uomo, incontrare culture diverse, fratelli desiderosi di conoscere l’Amore del Padre, respirare la Chiesa universale, comunicare la gioia dell’incontro con Cristo Eucaristia…
Certamente questa sua ansia di arrivare ai confini del mondo, nel suo cuore, non si limitò ad un luogo geografico, il Brasile. Ci furono esperienze in Germania tra gli emigrati; pensò all’Africa, ad altri Paesi dell’America Latina…. Fu aperta ad ogni forma di apostolato (oltre l’iniziale servizio agli “infermi”), purché fosse una maniera di vivere e far vivere la Carità. È certo che, il suo richiamare l’attenzione delle Volontarie, degli ospiti dei Piccoli Rifugi, delle Ville ed anche degli Amici, sulla necessità di aprire le porte e le finestre e spalancarsi su tutta la Chiesa universale, su tutti i fratelli, su tutti i problemi, su tutte le attività del bene, fu insistente sino alla fine dei suoi giorni.
L’ansia di testimoniare la tenerezza di Dio per i piccoli, siano essi vecchi o bambini, malati nel corpo o nello spirito, poveri di mezzi o poveri di Dio, fu per lei una esigenza dell’Amore.
Per noi che l’abbiamo conosciuta, o per chi comunque segue Cristo, il suo insegnamento e il suo esempio, non possono non interpellarci, essere un “imperativo”, e continuano a dirci che: occorre gridare al mondo intero che l’Amore vince, sempre; che l’Amore è veloce e non conosce ostacoli.
Teresa D’Oria