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12 Ottobre 2019Lucia Schiavinato e l’Amazzonia
Il mese di ottobre, mese missionario, ha visto quest’anno l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica, il cui scopo principale, indicato da papa Francesco il giorno dell’annuncio, è quello di individuare strade per l’evangelizzazione di quella porzione di popolo di Dio.
Un tema, questo, che avrebbe affascinato Lucia Schiavinato, che se ha sempre vissuto “con tutto il mondo nel cuore”: nel suo cuore il Brasile, e l’Amazzonia in particolare, hanno avuto un posto privilegiato.
Fin dalla prima giovinezza Lucia si è ritrovata un animo missionario. Questa tensione seppe viverla in parrocchia, in diocesi e in Italia, dentro a tante realtà di sofferenza ed emarginazione. Fu il Concilio Vaticano II che le dilatò ancor più gli orizzonti della missione, aprendola all’America Latina, grazie all’amicizia con il vescovo di Verona Mons. Giuseppe Carraro, molto sensibile alla dimensione missionaria.
“Lucia guardò attentamente all’America latina, terra di angoscia e di speranza – ricordava Mons. Carraro-. Vi intravide un immenso campo, aperto ad ogni forma di carità… fame, povertà estrema, penuria di medicine … situazioni umane le più arretrate, sottosviluppo culturale il più basso… E tanta possibilità di seminare in un buon terreno… Le prese davvero una santa febbre dell’America Latina, che si trasmise alle altre sorelle volontarie”.
Iniziarono così le “spedizioni” in America Latina a partire dall’aprile del 1964. Quali le situazioni preferite da Lucia ? Quelle più disagiate: tra gli alagados su palafitte nel Nordest del Brasile, e nel cuore dell’Amazzonia tra gli indios.
Fu nel 1971 che mamma Lucia, dallo stato del Maranhão, si spostò in Amazzonia. Andare a vivere in un villaggio come quello di Feijoal- ricorda una Volontaria – significava “entrare” nella foresta, abitare lungo una delle tante anse di un fiume, tra Indios che non parlavano il portoghese, ma il tikuna. Significava vivere lontani dai primi centri abitati, dalla stessa parrocchia. Niente luce, niente acqua in casa: ma soprattutto voleva dire entrare in un’altra cultura.
Con questa scelta dell’Amazzonia Lucia continuava quell’immersione nel cuore del mondo che l’ha sempre guidata, spinta dall’urgenza interiore di “mergulhar” (tuffarsi) dentro ogni fragilità umana, nella misura in cui si sa entrare “sempre più in profondità di relazione con Dio, costi quel che costi” .
L’avventura missionaria di Lucia e delle sue compagne si inserisce dentro quella storia che la Chiesa ha sempre vissuto con amore e ammirazione, e che ha visto tanti missionari e missionarie in questa regione, tra fiumi e foreste, offrire la loro vita per amore di Gesù Cristo e dei popoli amazzonici. Uomini e donne che hanno vissuto in quei posti fino alla fine e là giacciono sepolti. “Storie eroiche ed esemplari. Semi di un futuro più umano e cristiano… La testimonianza profetica continua ad essere coraggiosa e viva nella Chiesa dell’Amazzonia” (Card. Claudio Hummes)
Tra i testimoni, ancora viventi, non possiamo dimenticare la volontaria della carità Felicita Casti che ha trascorso 31 anni tra gli indios Tikuna.
In una lettera del luglio 1972 Lucia Schiavinato manifesta lo stupore per quel misterioso disegno divino che l’ha portata in Amazzonia: “Di fronte a questa immensità di natura, acqua e foresta e di popolo che non ha né scuole, né prete, né medico, nessuno che viva per loro, il piano stabilito con Luisa e Isaltina (c’è Felicita con me, grazie a Dio) questo piano mi sembra un disegno stabilito da Dio da sempre.. .Io sarei gratissima al Signore se mi lasciasse qui sempre”.
Ora che le spoglie di Lucia si trovano nella cappella del Piccolo Rifugio di San Donà, là vi è un affresco dove è rappresentato anche un bambino indio: quasi a dire che il cuore di Lucia riposa per sempre in quella terra che ha tanto amato.
Don Antonio Guidolin