Ida D’Este, direttrice dell’Amore Vince
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Il Piccolo Rifugio dei primi anni. I pregiudizi verso le persone con disabilità degli adulti, e al contrario i ragazzi che alle presunte differenze neppure facevano case. E un’amicizia tra due compagni di classe, uno dei quali viveva al Piccolo Rifugio.
E’ il racconto che abbiamo raccolto martedì 5 ottobre da Gioi Tami, vittoriese classe 1954, amico del Piccolo Rifugio di oggi e testimone del Piccolo Rifugio di ieri.
IL MIO COMPAGNO CON LE STAMPELLE
“Dopo un anno in collegio, per la seconda media sono stato iscritto alla scuola Lorenzo Da Ponte, a Vittorio Veneto.
Era l’anno scolastico 1966-1967. Sono capitato in classe con Renzo Fattori: era poliomelitico, si muoveva solo con le stampelle. Viveva al Piccolo Rifugio. Era più vecchio di noi suoi compagni, forse di due o tre anni. Ed era il più bravo della classe.
Un po’ alla volta abbiamo fatto amicizia. Lui veniva a scuola con una motocarrozzetta, ed io a piedi: allora a volte mi dava un passaggio… e bisognava percorrere stradine secondarie per evitare di beccare i vigili!”
AL PICCOLO RIFUGIO A FARE I COMPITI
“Ogni tanto, di pomeriggio, venivo a trovarlo, e a fare i compiti al Piccolo Rifugio. A volte c’era Alfredo Di Palma, che all’epoca studiava alla ragioneria, che ci aiutava. Verso le quattro le Volontarie della Carità portavano una merenda, tè e biscotti, e se ero lì la prendevo anche io. Poi si scendeva in cortile a giocare a pallone, con Renzo, Alfredo e altri due ospiti del Piccolo Rifugio: e chi aveva le stampelle vinceva pure, e se non stavi attento rischiavi di prenderti delle…stampellate sulle gambe.
Altre volte andavamo nella sala in cui Alfredo e gli altri del complessino del Piccolo Rifugio suonavano.
Il sabato sera, poi, nella sala del refettorio del Piccolo Rifugio proiettavano dei filmini in super8, ad esempio di indiani e cowboy. Ed io, che non potevo permettermi il cinema la domenica pomeriggio, ero ben contento di andarci!”
RENZO, UNO DI NOI
“Il fatto che Renzo fosse disabile non aveva nessuna importanza per noi ragazzi. Era partecipe di tutti gli scherzi, di tutte le complicità . La differenza tra lui e noi suoi compagni di classe al massimo era per la sua maggiore maturità. Piuttosto, lo invidiavamo per il motorino! La nostra era una normale amicizia tra ragazzi. Durata un solo anno, perché poi non siamo più stati in classe insieme e ci siamo persi di vista”.
SOLO IL VESTITO DELLA FESTA?
“Le prime volte, quando dicevo a mia mamma che andavo al Piccolo Rifugio, mi guardava incredula, come a chiedermi: ma cosa vai a fare lì? Era considerato strano che potessero stare insieme persone ‘sane’ e ‘malate’.
Al forno della mia famiglia sentivo i commenti della gente: non c’era cattiveria verso il Piccolo Rifugio, però lo trovavano una cosa disdicevole. Era la mentalità dell’epoca, per la quale tutto ciò che è diverso va nascosto,e si deve mostrare solo il ‘vestito della festa’.
I discorsi che sentivo riguardo al Piccolo Rifugio erano della serie:’ma proprio in centro devono stare? Non potevano metterli in un posto più nascosto? Ne va del buon nome di Vittorio Veneto…’
Anche al Piccolo Rifugio c’era una sorta di pudore. Erano una famiglia: una famiglia protettiva. Gli ospiti con patologie più evidenti erano tenuti in disparte dalle Volontarie quando arrivava qualcuno come me, esterno”.